Durante il ciclo ovarico, la vitamina D, insieme con gli estrogeni e il progesterone, controlla il processo di decidualizzazione che rende l’endometrio recettivo per l’embrione, grazie all’ispessimento di quest’ultimo da parte degli estrogeni e ad un incremento dell’irrorazione sanguigna, regolato dal progesterone e dalla vitamina D. La vitamina D si comporta come un ormone ad azione simil-progestinica, poiché, come il progesterone, aumenta progressivamente durante la gravidanza e viene attivata oltre che a livello renale anche dalla placenta. La placenta è riconosciuta essere il maggior sito extra-renale di conversione, dal precursore della stessa al metabolita attivo.
La carenza di vitamina D non sembra dipendere solo dalla latitudine, e quindi dalla esposizione solare, dall’alimentazione o dalla condizione socioeconomica della donna; essa dipende anche da un aumento del fabbisogno di vitamina D a cui la donna va incontro durante la gravidanza e l’allattamento. Durante la gravidanza, infatti, il metabolismo della vitamina D si modifica per asseverare l’aumentato fabbisogno di calcio necessario per la mineralizzazione dello scheletro fetale. Il feto dipende quasi completamente dalla madre per quanto riguarda i livelli di vitamina D e per garantire al feto un apporto di calcio sufficiente per la crescita e il suo sviluppo, senza penalizzare la mamma, sottraendo calcio dal suo scheletro, è importante mantenere adeguati i livelli materni di vitamina D a livelli di 25(OH)D ≥ 30 ng/ml. Numerose società scientifiche internazionali raccomandano alle donne in gravidanza e durante l’allattamento una profilassi con vitamina D. La supplementazione con vitamina D durante la gravidanza è utile non solo per preservare la salute dell’apparato scheletrico, ma anche per una corretta instaurazione e mantenimento della gravidanza stessa. Pertanto, risulta necessario un appropriato controllo clinico ed un attento monitoraggio endocrino-ginecologico a tal riguardo.