Nelle giovani donne, la diagnosi di tumore al seno presenta molte problematicità. Il tumore in genere è più aggressivo e la chirurgia e i trattamenti devono tener conto di aspetti legati alla fertilità ed alla sessualità, rendendone complessa la gestione di queste pazienti.
Il tumore alla mammella è il tumore più frequente nelle pazienti giovani, praticamente in ogni Paese del mondo. Rappresenta un terzo di tutti i tumori che vengono diagnosticati nelle pazienti sotto i 40 anni. In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 53.000 casi di tumore alla mammella; di questi il 6% – quindi circa 3.200 casi – riguarda donne giovani, di 40 anni o meno.
Le donne al di sotto dei 40 anni non accedono allo screening, per cui tendenzialmente la diagnosi avviene quando il tumore è ad uno stadio più avanzato rispetto alle pazienti meno giovani. Da un punto di vista biologico, aumenta il rischio di tumori. Se la diagnosi avviene prima dei 40 anni, altresì, bisogna valutare se si tratta di un tumore ereditario, in particolare se la neoplasia è legata ad una mutazione di BRCA1 o 2, che è la mutazione più frequente in questa categoria di pazienti e presente nel 15% delle giovani donne con tumore al seno. Quindi, i tumori più frequenti in donne in questa fascia di età sono quelli più aggressivi. Pertanto, una valutazione attenta e programmata con lo specialista oncologo-ginecologo o senologo rappresenta uno step da considerare ancora prima di entrare nelle fasce di età di accesso allo screening territoriale. Il benessere della donna richiede molta attenzione ed una scrupolosa ricerca della prevenzione.
Secondo le linee guida, l’età non deve essere un motivo per trattare la paziente con terapie più aggressive. I trattamenti sono gli stessi indipendentemente dall’età, anche se alcuni farmaci sono tollerati meglio dalle giovani donne. Ciò che cambia è il trattamento ormonale adiuvante: i trattamenti ormonali si differenziano in quanto nella donna giovane spesso è necessario aggiungere al trattamento ormonale, una terapia che determina la soppressione ovarica, inducendo una menopausa iatrogena o farmacologica per almeno 5 anni dopo la diagnosi. E’ ovvio che nelle donne in post-menopausa questo non risulta necessario.
Tra gli effetti collaterali dei trattamenti ci sono anche la disfunzione ovarica precoce, o la menopausa precoce, che portano a infertilità. Questi aspetti vanno considerati e discussi con le pazienti più giovani per valutare la possibilità di ricorrere a tecniche di preservazione della fertilità, che vanno fatte prima di iniziare un qualunque trattamento sistemico. Gli studi eseguiti dimostrano che in seguito a trattamenti corretti e dopo un periodo di follow-up adeguato, al termine delle terapie, per le donne portare avanti una gravidanza è sicuro e non comporta il rischio di recidive. Non vi sono controindicazioni neanche per quanto riguarda l’allattamento. Le donne sottoposte ad intervento conservativo mammario seguito da radioterapia, in genere, possono allattare solo dalla mammella non operata poiché spesso il trattamento radiante determina una perdita della funzione della ghiandola mammaria in riferimento alla possibilità di allattamento.
Da un punto di vista psicologico le accortezze che devono essere prese in considerazione per un’eventuale futura gravidanza, le possibili disfunzioni a livello sessuale e le difficoltà in ambito lavorativo possono avere un impatto particolarmente rilevante in queste pazienti. Quando le donne sono giovani bisogna discutere molto rapidamente, al momento della diagnosi, di alcune tematiche delicate. Infatti, bisogna affrontare subito la questione della fertilità, perché le tecniche di preservazione della fertilità devono iniziare prima dei trattamenti oncologici ed approfondire, altresì, gli effetti collaterali relativi alla fertilità ed alla menopausa precoce. La soppressione ovarica, poi, per quanto sia molto efficace, è un trattamento molto importante, con implicazioni significative dal punto di vista psicologico. Gli estrogeni svolgono un ruolo modulatore nel sistema nervoso centrale, quindi c’è anche il rischio di un incremento di depressione e ansia, insieme, a disturbi della sfera sessuale.
Un aspetto fondamentale da trattare è la gestione di tutti gli aspetti citati, in maniera attiva, discutendone con le pazienti al momento delle visite. Anche gli aspetti che riguardano la sfera sessuale, di cui in genere la paziente non parla con l’oncologo, devono essere trattati con l’adeguata competenza. Una consultazione, quindi, con una figura professionale multi-specialistica quale un endocrinologo-ginecologo-oncologo ne può completare l’iter terapeutico e di follow-up al fine di ripristinare il pieno ed efficace recupero del benessere femminile.