Affrontare il tema della trasmissione oro-genitale del papillomavirus umano (HPV) con una donna con un’infezione cervico-vaginale persistente da HPV è più problematico di quanto sembri. Non farlo è però un’occasione persa per la prevenzione dei tumori dell’orofaringe. Nessuna autorità scientifica ha emanato direttive chiare su quello che il medico dovrebbe suggerire, così tocca al singolo professionista fare i conti anche con le implicazioni etiche del counseling. Un gruppo di ricercatori ha descritto, in un articolo molto esaustivo, quello che si conosce sulla trasmissione oro-genitale dell’HPV proponendo numerosi spunti di riflessione sull’argomento.
Nei paesi ad alto reddito i carcinomi a cellule squamose dell’orofaringe (OPSCC) sono ora il tipo di cancro legato all’HPV più frequente, avendo scavalcato il cancro della cervice, come si evince da uno studio pubblicato su “BMC Women’s Health”. Infatti, la trasmissione oro-genitale dell’HPV ha oggi sorpassato il fumo e il consumo elevato di alcool come principale fattore di rischio per i tumori dell’orofaringe.
La trasmissione orofaringea dell’HPV avviene principalmente con il contatto tra la bocca e la regione anogenitale e agisce come promotore dell’OPSCC sia negli uomini, sia nelle donne. La diagnosi precoce dell’OPSCC correlato all’HPV è resa complicata dal lunghissimo periodo di latenza tra l’infezione orale e l’insorgenza del tumore, oltre al fatto che, a differenza del tumore cervicale, la lesione precancerosa si caratterizza molto lentamente. Molti dei tumori si sviluppano in corrispondenza delle cripte tonsillari, restando quindi nascosti all’ispezione visiva e rendendo poco fattibile uno screening citologico con tampone. D’altra parte, un esame molecolare sul lavaggio orofaringeo rivelerebbe un’infezione attiva, ma non necessariamente la presenza di una lesione pre-maligna.
Il vaccino nonavalente appare proteggere dai sottotipi di HPV associati al 90% dei tumori dell’orofaringe e all’80% dei tumori della laringe. Il tasso di vaccinazione è però insoddisfacente, soprattutto tra i ragazzi, perché resta diffusa la convinzione errata che serva solo a prevenire il tumore della cervice uterina.
Ipoteticamente, si potrebbe raccomandare misure preventive, suggerire cambiamenti nei comportamenti sessuali e considerare di informare i partner successivi. Tuttavia, qualunque modifica nel counselling offerto alle donne con un test HPV positivo non andrebbe basata solo sull’evidenza, ma anche sulla reale possibilità che abbia un effetto benefico sull’incidenza dei tumori dell’orofaringe associati all’HPV e sui potenziali danni. Il rischio è, da una parte di provocare ansie non necessarie, dall’altra perdere l’opportunità per limitare la diffusione delle infezioni orali da HPV. I ricercatori auspicano, perciò, che le principali autorità sanitarie e le società scientifiche di ginecologia rendano disponibili delle raccomandazioni per guidare il medico nel counseling diretto ad una donna il cui test HPV ha rivelato la presenza di un ceppo ad alto rischio.