Nel sistema classificatorio oggi più utilizzato, l’identità sessuale viene comunemente definita in base a tre parametri: sesso, genere e orientamento sessuale. Considerando tale sistema utilizzato:
- il sesso corrisponde all’anatomia ed ha una dimensione fisica. Essere maschi significa avere nella propria dotazione genetica un cromosoma X e uno Y, avere pene e testicoli e una certa produzione ormonale; essere femmine significa invece avere due cromosomi X, vagina, ovaie, seno e una tipica produzione ormonale. Esistono poi le persone ‘intersex’, in cui i differenti fattori che determinano il sesso divergono dagli standard del maschile e del femminile o si sommano in modo divergente da tali standard.
- Il genere è insieme una dimensione psicologica e culturale ed ha a che fare con il sentimento di appartenenza e con l’identificazione al modello culturale di mascolinità e femminilità che agisce nella propria società di appartenenza. Non basta essere maschi per essere uomini, e non basta essere femmine per essere donne. Inoltre, da sempre e non solo da oggi, le diverse culture hanno elaborato generi intermedi dal maschile e dal femminile.
- L’orientamento sessuale è invece la direzione prevalente dei propri desideri: per il sistema classificatorio vigente è eterosessuale chi desidera persone di sesso/genere opposto al proprio, è omosessuale chi desidera persone del proprio stesso sesso/genere. Ma esistono anche persone bisessuali, pansessuali, asessuali …
In senso stretto si definiscono transgender, o transgenere, le persone che si identificano con il genere opposto al loro sesso, ma che non vogliono sottoporsi all’operazione chirurgica per la riassegnazione del sesso. Le persone transessuali sono invece quelle che desiderano modificare anche i propri genitali per diventare il più possibile simili al ‘sesso’ di elezione. Ovvero il termine ‘transgender’ può essere utilizzato anche in un senso più ampio che contiene al suo interno sia il concetto di transessuale sia quello di transgender in senso stretto. Bernini, uno dei pochi ricercatori universitari in Italia espressamente dedicati agli studi di genere e femministi ed alle teorie queer, nel glossario del libro ‘Differenza e relazione’ spiegava che si può essere transgender ad esempio vestendo i panni del genere desiderato, scegliendo per sé un nome proprio del genere desiderato, assumendo eventualmente ormoni e modificando alcuni tratti del proprio corpo, ma senza intervenire chirurgicamente sui propri genitali. Oggi si aggiunge che quella delle soggettività transgender è un’ampia galassia (arricchitasi di soggettività gender fluid, gender questioning, agender) in cui il binarismo sessuale viene messo in discussione in differenti modi, altresì, precisando che, nell’uso corrente, sesso-genere-orientamento sessuale sono criteri che impongono alla sessualità una divisione netta a due termini: si basano cioè sulle contrapposizioni identitarie maschio-femmina, donna-uomo, eterosessuale-omosessuale, contrapposizioni che producono i cosiddetti tipi ideali (“l’uomo”, “la donna”, ma anche “l’eterosessuale”, “l’omosessuale” e così via) che risultano talvolta molto lontani dalle esperienze dei soggetti che dovrebbe descrivere. Combinando tra loro i concetti del binarismo sessuale si possono, comunque, comporre diverse identità quali: uomini eterosessuali, gay, bisessuali; o donne eterosessuali, lesbiche, bisessuali; donne e uomini transessuali che possono avere diversi orientamenti ed essere eterosessuali, omosessuali, lesbiche o bisessuali; persone transgender che possono a loro volta desiderare uomini, donne o altre persone transgender.
Da ciò si comprende come tale sistema classificatorio, con le combinazioni che ne derivano, è utile per iniziare a comprendere la complessità delle identificazioni e dei desideri sessuali, ma è ugualmente un modello interpretativo imperfetto della realtà, basata su delle rigide alternative. La realtà stessa è ben più complessa e ricca di esperienze in cui questi tre parametri non sono necessariamente congruenti tra loro.
Quindi, per evitare l’utilizzo di una terminologia confusa, ci si deve orientare oltre la rigidità dei modelli interpretativi e l’intransigenza e la rigidità delle parole.
Il sistema sesso-genere-orientamento sessuale viene usato in tutto il mondo dalla maggior parte degli endocrinologi, dei ginecologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei sessuologi, ma anche dagli stessi sistemi giuridici per definire e classificare le identità sessuali, per definire la ‘norma’ sessuale, ma anche la ‘perversione’. Le alternative binarie di tale sistema non si limitano a semplificare la gamma delle identità sessuali possibili e stabiliscono delle ’gerarchie’ che hanno conseguenze reali sugli individui. Istituiscono classificazioni riconoscendo solo ad alcune categorie di persone l’appartenenza a un’umanità “sana”, “normale”, “piena” e, quindi, pienamente meritevole di avere dei diritti e di esserne tutelata giuridicamente. La legge italiana, per esempio, fino a tempi molto recenti imponeva uno stretto binarismo sessuale. Il riconoscimento giuridico dell’identità di una persona transessuale doveva cioè necessariamente passare dall’intervento chirurgico, rendendo di fatto non giuridicamente trattabili i soggetti transgender. Secondo le interpretazioni che per lungo tempo la giurisprudenza ha dato della legge 164/1982, gli interventi demolitivi dei genitali erano considerati necessari per poter ricevere l’autorizzazione a cambiare il nome sulla carta di identità. Fino al 2015, l’identità di genere per lo stato italiano dipendeva non dal senso di sé di un soggetto, ma esclusivamente dalla presenza di un organo genitale naturale o di una sua ricostruzione chirurgica artificiale. Il nostro sistema giuridico rispondeva quindi a una logica binaria molto rigida: “o sei maschio e quindi devi essere uomo” oppure “sei femmina e quindi devi essere donna”. Se sei maschio ma vuoi essere donna, il nostro sistema giuridico ti concedeva di diventare legislativamente donna o uomo solo a patto che il soggetto si facesse demolire ed eventualmente ricostruire i genitali, anche se questo avrebbe anche potuto causare complicazioni. Nel 2015 due importanti sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale hanno finalmente stabilito che tali interventi non sono necessari, anche se alla persona interessata è comunque richiesto un lungo percorso psicologico e giudiziario.
Da ciò si evince che la confusione terminologica spesso usata anche dai ‘media‘ configura una non sempre adeguata conoscenza delle complesse problematiche relative alle profonde ed intricate modalità espressive dell’identità di genere spesso ricondotta al rigido ed imperfetto schematismo interpretativo del sistema classificatorio in atto e degli stessi sistemi giuridici; altresì, anche le difformi posizioni su differenti convinzioni ideologiche e politiche alimentano tale confusione in quanto, in alcuni movimenti femministi, esiste da decenni un dibattito che ha portato alla nascita della definizione di femminismo essenzialista e trans-escludente. Il femminismo essenzialista considera che ci sia una corrispondenza tra sesso e genere sostenendo che, altrimenti, non ci sarebbe modo di definire le donne, rifiutando di fatto anche le alleanze simboliche e politiche con il movimento trans. Questa posizione è stata, più recentemente, criticata e superata da altri movimenti femministi che attribuiscono molta importanza all’autodeterminazione.
Risulta facile comprendere, quindi, come una possibile ed univoca interpretazione lessicale e semantica possa stridere notevolmente tra queste considerazioni e le rigide applicazioni del sistema classificatorio e giuridico.