Un gruppo di esperti statunitensi ha passato in rivista la letteratura scientifica dedicata alla relazione fra interferenti endocrini e sistema immunitario. Le evidenze disponibili hanno suggerito che gli effetti degli interferenti endocrini potrebbero spiegare le differenze, fra maschi e femmine, nel rischio di sviluppare malattie autoimmuni.
Per molte malattie tende ad ampliarsi la differenza della frequenza con la quale esse si presentano nei maschi e nelle femmine. Ciò vale, in particolare, per quelle autoimmuni e per quelle metaboliche. Negli stessi anni nei quali si è osservato questo andamento, si è assistito anche a un incremento della presenza di sostanze chimiche in molti prodotti di uso comune. Fra tali sostanze ci sono gli interferenti endocrini, chiamati anche xenormoni, cioè quelle sostanze che nell’organismo sviluppano azioni simili agli ormoni endogeni alterandone però, in vario modo, i meccanismi del sistema endocrino. Una volta entrati nell’organismo, essi possono interagire con il sistema endocrino, ma come elementi estranei, determinando modificazioni del suo corretto funzionamento.
La lista dei prodotti che contengono gli interferenti endocrini è molto ampia e va da quelli per l’igiene personale ai giocattoli, ai prodotti elettronici. A questi si devono aggiungere gli alimenti, che possono acquisire interferenti endocrini dal suolo o dall’acqua.
Anche l’elenco degli interferenti endocrini è molto lungo. Tra questi, ad esempio, i cosiddetti xeno-estrogeni, cioè le molecole che nell’organismo imitano le attività degli estrogeni, ma ne alterano i meccanismi nei quali sono coinvolti. Appartengono a questa categoria gli interferenti endocrini quali fenoli, parabeni e ftalati.
Sulla base delle evidenze disponibili in letteratura, i vari autori hanno delineato questo tipo di relazione: gli interferenti endocrini altererebbero il funzionamento del sistema endocrino in maniera diversa tra maschi e femmine e questo porterebbe a modificare in modo variabile le risposte del sistema immunitario creando diversi profili di rischio di sviluppare alcune malattie.
Un limite alla verifica di questa ipotesi è che gran parte degli studi che hanno valutato i meccanismi sui quali essa si basa sono stati eseguiti su modelli animali. Essi hanno permesso, ad esempio, di dimostrare che la velocità di produzione dei recettori degli estrogeni e degli ormoni, che ad essi si legano in condizioni fisiologiche, è perfettamente bilanciata per generare stimoli che mantengono il funzionamento corretto anche delle cellule del sistema immunitario. Se a legarsi ai recettori sono xeno-estrogeni come i fenoli, ad essi non si possono legare gli estrogeni naturali e così, a cascata, si alterano i meccanismi che dovrebbero mantenere il buon funzionamento anche del sistema immunitario. Sempre per questo tipo di interferente endocrino, numerosi dati epidemiologici ed evidenze di laboratorio concordano nell’indicare che il suo effetto sull’organismo possa avere un ruolo differente fra maschi e femmine nello sviluppo di malattie autoimmunitarie. Nello stesso studio sono riportate informazioni anche su effetti simili attribuibili a parabeni e ftalati.
Nelle conclusioni gli autori hanno sottolineato che le evidenze disponibili in letteratura supportano un ruolo degli interferenti endocrini nel determinismo e sviluppo di malattie del sistema immunitario, differenti tra maschi e femmine. Ciò riguarderebbe non soltanto le vere e proprie malattie autoimmuni, ma anche quei meccanismi che da precedenti infezioni virali portano all’attivazione di fenomeni di autoimmunità.