Una dieta non corretta è un importante fattore di rischio per le malattie non trasmissibili (NCD). Sono molte le prove a supporto di relazioni causali tra specifici fattori dietetici (es. frutta, verdura, carne lavorata e assunzione di grassi) e NCD (cardiopatia ischemica, diabete e tumore del colon-retto). L’impatto dell’alimentazione sulla salute è stato analizzato in uno studio tramite il consumo di alimenti e nutrienti principali in 195 paesi, in adulti con età maggiore di 25 anni. Nel 2017, undici milioni di decessi e 255 milioni di disabilità erano attribuibili a fattori di rischio alimentare; le malattie cardiovascolari sono state la principale causa di decessi legati alla alimentazione. Un alto apporto di sodio, un basso apporto di cereali integrali e un basso apporto di frutta sono stati i principali fattori di rischio alimentare per decessi e DALY a livello globale in molti paesi (Disability-Adjusted Life Year: attesa di vita corretta per disabilità, una misura della gravità globale di una malattia espressa come il numero di anni persi a causa della malattia per disabilità o per morte prematura). Questo studio fornisce il paradigma del potenziale impatto dell’alimentazione sulla mortalità e morbilità della NCD, evidenziando la necessità di un intervento specialistico in ambito endocrino e metabolico per migliorare la dieta, incidendo concretamente per prevenirne le molteplici conseguenze infauste. Difatti, il perfezionamento ed il corretto adeguamento della dieta potrebbe potenzialmente prevenire un decesso su cinque a livello globale. I risultati di questo studio mostrano che, a differenza di molti altri fattori di rischio, i rischi dietetici colpiscono le persone indipendentemente dall’età, dal sesso e dallo sviluppo socio-economico e demografico del loro luogo di residenza. Sebbene l’impatto dei singoli fattori dietetici cambi nei diversi paesi, l’assunzione non ottimale di tre fattori dietetici (cereali integrali, frutta e sodio) ha rappresentato oltre il 50% dei decessi e il 66% di DALY attribuibili all’assunzione alimentare.
Peraltro,un ulteriore studio,nel Regno Unito, con analisi dei dati di oltre 3.6 milioni di persone ha dimostrato che l’obesità ruba oltre 4 anni di vita ai soggetti interessati. Infatti, cosa ben nota è che l’indice di massa corporea (BMI) sia fortemente associato alla mortalità per tutte le cause. Le associazioni tra BMI e mortalità risultano più solide nelle età giovanili rispetto a quelle più anziane ed il BMI associato al più basso rischio di mortalità è più alto negli individui più anziani rispetto agli individui più giovani. Rispetto agli individui normopeso, l’aspettativa di vita dall’età di 40 anni è risultata inferiore di 4,2 anni negli uomini obesi (BMI ≥30) e di 3,5 anni nelle donne obese. Anche quando nelle analisi sono stati inclusi i fumatori, i risultati per la maggior parte delle cause di morte erano sostanzialmente simili. In conclusione, i dati riportati indicano un’associazione tra indice di massa corporea (BMI), mortalità generale e cause di morte più specifiche con una riduzione della spettanza di vita correlata all’aumento di peso. Del pari, questi dati correlano anche con le indagini di altri studi che delineano un aumento del rischio di cancro genere-specifico nell’obesità e confermano quelli provenienti da studi di follow-up sul processo di modificazione dietetica in soggetti che hanno mostrato una sopravvivenza globale significativamente migliore da vari tumori e malattie cardiovascolari rispetto a soggetti che non seguivano alcuna modificazione dietetica per la medesima condizione. Perciò, l’appropriata consulenza e valutazione da parte di un endocrinologo-oncologo risulta l’indicazione potenzialmente più adeguata per incrementare la propria aspettativa di vita trattandosi di una condizione la cui gestione deve essere affidata in mani esperte con competenze e conoscenze multidisciplinari.
La gestione del peso efficace richiede, altresì, un cambiamento del modello di approccio del professionista della sanità verso l’obesità. L’approccio multidisciplinare ultra-specialistico precipuo dell’endocrinologo-oncologo all’obesità, quale vera e seria patologia, deve essere indirizzato allo studio dei processi fisiopatologici, proprio come il diabete di tipo 2 e altre malattie croniche. Come il diabete, l’obesità non è mai definitivamente curata, sebbene l’indice di massa corporea di un paziente possa essere sotto un controllo eccellente. Essa deve essere considerata e trattata come una malattia cronica che comporta notevoli rischi per la salute, inficiandone persino la qualità e la durata della vita. Difatti, il diabete di tipo 2, ad esempio, è una patologia comune nel contesto di una obesità, come l’ipertensione, la dislipidemia, l’apnea notturna e la condizione del fegato grasso. Le co-morbidità dettano il trattamento che i pazienti con obesità ricevono, ma la cura per l’obesità stessa è spesso trascurata; le terapie note per migliorare le co-morbidità dell’obesità sono spesso considerate erroneamente come aiuto all’obesità stessa. Un esempio saliente è la dieta mediterranea spesso raccomandata per promuovere la perdita di peso nei pazienti con obesità. I risultati di numerosi studi di grandi dimensioni hanno dimostrato che la dieta mediterranea ha scarso effetto sul peso corporeo, nonostante le frequenti affermazioni del contrario. In uno studio di riferimento (N Engl J Med. 2013), le persone che hanno osservato una dieta mediterranea hanno ridotto significativamente il rischio di malattie cardiovascolari, ma questa dieta non ha avuto effetti apprezzabili sul peso corporeo. Si può non essere d’accordo su quale sia la causa primaria dell’obesità, ma il percorso finale, per sua natura, deve contemplare l’analisi fisiopatologica della manifestazione e non semplicemente il controllo volontario del bilancio energetico. Questo cambiamento nell’approccio terapeutico è fondamentale per conoscere cosa spinge le persone a mangiare troppo e ad aumentare di peso. Gli strumenti terapeutici per il trattamento dell’obesità comprendono una dieta sana ed equilibrata, esercizio fisico, riduzione dello stress, miglioramento della qualità del sonno ed il ripristino di normali ritmi circadiani, l’impiego di farmaci antiobesità che promuovono la perdita di peso ed il possibile utilizzo, in pazienti selezionati ad una attenta sorveglianza, di farmaci neuromodulatori che regolano l’introito calorico e la spesa energetica.
Quindi, il concetto di obesità intesa come malattia cronica fisiologicamente guidata da un endocrinologo-oncologo, in una visione multidisciplinare ed ultra-specialistica, richiede interventi fisiologici ed un trattamento personalizzato per massimizzarne le possibilità di successo.
Esistono vari sottotipi di obesità che, definiti adeguatamente, potrebbero essere utilizzati per prevedere meglio la risposta ad un particolare intervento terapeutico. Mentre si analizza ulteriormente l’eterogeneità dell’obesità è possibile prevedere l’utilizzo di protocolli sempre più personalizzati ed efficaci, al fine di adottare strategie più vantaggiose di prevenzione dell’obesità e della correlata aspettativa di vita.