Oggi lo studio della riserva ovarica rimane uno dei momenti fondamentali nella valutazione della paziente infertile. La nostra società è radicalmente cambiata negli ultimi 20 anni; sono cambiate le abitudini, gli stili di vita, l’alimentazione, i rapporti sociali e l’approccio alla sessualità ed i rapporti interpersonali. Tutto ciò ha mutato le aspettative di ciascuno verso il futuro che viene proiettato in tempi molto più lunghi, al di là dei ritmi fisiologici ed oltre la biologia. È vero che l’aspettativa di vita si è prolungata, che la qualità di vita ci ha reso indefinitamente giovani, ma non dobbiamo dimenticare che la nostra età biologica rimane il punto focale fondamentale su cui organizzare la nostra futura esistenza. Desiderare un figlio in età avanzata è diventato un luogo comune e sembra quasi che avere un figlio alla soglia della menopausa rappresenti un momento di soddisfazione e compiacimento da parte della coppia, che trova l’occasione per riscoprirsi e confermarsi mentalmente e fisicamente giovane. È ovvio che, in questa società, spesso, non viene messo nella giusta luce il ruolo del nascituro che rischia di venire al mondo con genitori anziani, con competenze limitate per assistere un figlio nell’iniziale percorso di vita. In questa ottica negli ambulatori per il trattamento della infertilità, sempre più spesso giungono all’osservazione pazienti definite “over”, cioè che hanno superato i 40 anni di età. Tali pazienti che richiedono di essere avviate in un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) necessitano di uno studio preliminare molto accurato al fine di stabilire le reali possibilità di concepimento.
Il primo fattore da valutare è il fattore età. È stato evidenziato che una donna nell’arco della vita fertile ha a disposizione circa 500 ovulazioni utili. Alla soglia della menopausa permangono all’interno dell’ovaio ancora numerosi ovociti (circa 1000), però in questa fase della vita la possibilità di una gravidanza non supera il 3-4%. Dopo i 40 anni di età della donna gli ovociti, sulla base di un processo di invecchiamento fisiologico, diventano sempre meno adeguati ad una gravidanza. Per tale motivo le pazienti vengono indirizzate a trattamenti di PMA e in molti casi addirittura a programmi di ovodonazione. Attualmente, la legge in molte Regioni italiane autorizza programmi di PMA fino all’età della donna di 46 anni. Per tale ragione, prima di avviare il trattamento è assolutamente necessario eseguire uno studio preliminare per capire se la riserva ovarica di queste pazienti sia nelle condizioni di esprimere ovociti validi e utili. Lo studio della riserva ovarica non è così facile e scontato, perché i markers che abbiamo a disposizione non sono così precisi e funzionali allo scopo, piuttosto, ci servono come indirizzo di carattere generale da inserire in una valutazione complessiva della donna e della coppia infertile.
Attualmente, i markers più utilizzati sono: il dosaggio dell’ormone FSH, la conta dei follicoli antrali in fase follicolare mediante ecografia, il dosaggio dell’ormone AMH, una glicoproteina prodotta dai follicoli ovarici. Ognuno di questi tre parametri se considerato da solo ha dei limiti oggettivi e spesso non chiarisce completamente la situazione riproduttiva della paziente. Indubbiamente rappresentano un primo passo e possono indirizzare verso una valutazione più complessiva, ma devono essere completati con altri parametri tra i quali una accurata valutazione della storia clinica della paziente in presenza della risposta ovarica in eventuali, precedenti tentativi di procreazione assistita. Oggi potremmo dire che un tentativo non si nega mai a nessuno, ma bisogna sottolineare che questi trattamenti hanno dei costi ed anche dove il trattamento viene assicurato interamente dal Servizio Sanitario Nazionale in modo gratuito, l’alto costo di tale trattamento rimane a carico della Comunità sottraendo risorse economiche ad altre attività. Non è questa una riflessione da poco in un sistema al collasso come il nostro, in cui si mette in dubbio l’erogazione di farmaci indispensabili e si aggiungono tickets per coprire le carenze amministrative e gestionali.
In un simile sistema sanitario erogare cifre di migliaia di euro per un tentativo di PMA alla soglia di un’età in cui il successo è poco probabile, se non addirittura impossibile, è plausibile il pensiero che possa essere considerato eticamente poco accettabile. È altrettanto vero che in un sistema come il nostro, succube della gestione politica del servizio sanitario, spesso le decisioni operative non tengono conto del parere degli esperti specialisti del settore. In conclusione, prima di intraprendere un trattamento medico a fini riproduttivi è corretto fare una disamina globale senza dimenticare che il consiglio sensato e ponderato dello specialista in fisiopatologia della riproduzione e ginecologo può assicurare concretamente l’aiuto adeguato, per interagire in modo accurato e utile nell’interesse di tutti.