La vitamina D è stata definita come un ormone steroideo al quale si attribuisce principalmente un ruolo fondamentale nel metabolismo del calcio e del fosforo. La scoperta dell’espressione dei recettori della vitamina D e degli enzimi coinvolti nel suo metabolismo, in tutti i tessuti dell’organismo, ha spinto i ricercatori a valutare altri ruoli di questa vitamina.
La definizione dell’influenza della vitamina D sulle malattie autoimmuni, tra cui le tiroiditi autoimmuni, è stata approfondita in molte ricerche. La maggior parte delle evidenze disponibili concorda nell’indicare una relazione fra la carenza della vitamina D e una maggiore tendenza a sviluppare concentrazioni più elevate nel sangue degli autoanticorpi caratteristici della tiroidite di Hashimoto, della malattia di Graves e delle tiroiditi che si presentano tipicamente dopo il parto. A fronte di questi riscontri, ce ne sono altri che mettono in discussione la relazione appena descritta e questo rende più complesso trarre conclusioni in merito.
Se si accetta l’esistenza di un’associazione fra carenza di vitamina D e malattie autoimmuni della tiroide, secondo alcuni autori di una recente revisione della letteratura, resta comunque da chiarire se tale relazione costituisca un vero e proprio meccanismo di sviluppo o se sia piuttosto una relazione causa-effetto o, ancora, se questa sia una conseguenza dei meccanismi dell’autoimmunità.
Quest’ultima ipotesi è la più originale, anche rispetto a quelle formulate da altri ricercatori. Essa presupporrebbe che i ridotti livelli di vitamina D nel sangue siano conseguenza dei meccanismi caratteristici delle tiroiditi autoimmuni che provocherebbero una disfunzione dei recettori della vitamina D. Tale disfunzione altererebbe il metabolismo della vitamina D creando un’eccessiva concentrazione di una molecola denominata 1,25 di-idrossi vitamina D e ciò avrebbe, da una parte conseguenze negative sulle molecole che si legano ai recettori localizzati sulla membrana del nucleo e, dall’altra, ridurrebbe la sintesi di 25 (OH) vitamina D. Nello stesso articolo si affronta anche l’argomento dell’efficacia della supplementazione di vitamina D, riportando evidenze in parte contrastanti come quella secondo la quale la somministrazione della vitamina ritarda la comparsa della malattia di Graves, ma non ne previene le recidive. Nelle conclusioni gli autori hanno ribadito che restano da chiarire molti aspetti circa la relazione fra carenza di vitamina D e malattie autoimmuni della tiroide.
Riguardo all’opportunità di somministrare la vitamina D nelle persone con tiroiditi autoimmuni, viene proposto un approccio mirato a raggiungere e mantenere concentrazioni nel sangue della vitamina che rientrino nell’intervallo di normalità suggerito dalle Linee Guida.
Utile, pertanto, una guida specialistica esperta nella indicazione ed integrazione terapeutica della patologia tiroidea autoimmune che sappia suggerire il percorso adeguato e le valutazioni necessarie a monitorare gli indicatori di funzionalità e di benessere tiroideo.