L’essere obesi non è mai una scelta ma la conseguenza di una serie di problemi di natura clinica in larga misura indipendenti dalla nostra volontà; eppure, uno dei pregiudizi più comuni che alimentano lo stigma comunemente usato contro questa condizione è che dimagrire dipenda solo da una questione di volontà ferrea a raggiungere un peso ideale e che l’essere in forma o in sovrappeso dipenda solo dalla gestione equilibrata tra l’introito calorico e il consumo della riserva energetica.
Sono queste le considerazioni alla base del cosiddetto “fat shaming”, cioè la discriminazione contro la persona ‘grassa’, considerata quale forma velenosa di critica che tanti riservano alle persone con molti chili di troppo, facendole vergognare del proprio aspetto.
Questo fenomeno è così talmente diffuso da determinare conseguenze molto gravi che ha coinvolto in uno studio scientifico un ampio gruppo di medici, ricercatori ed associazioni. Infatti, l’allarme è scattato dopo aver stimato che chi soffre di obesità si vergogna tanto della propria condizione da portarlo a decisioni odiosamente scellerate, come quella di non sottoporsi agli esami clinici ed ai test di controllo necessari per la propria condizione.
È frequente, infatti, assistere ad una particolare diserzione nei confronti degli screening tumorali inducendo un atteggiamento che può facilmente condurre a pericolosi ritardi nella diagnosi di un tumore, anche a fronte della acclarata valutazione della particolare aumentata incidenza e propensione del soggetto in sovrappeso ad ammalarsi di cancro. Le neoplasie maligne che più spesso risultano essere associate all’aumento di peso, nelle donne, sono quelle della mammella e dell’endometrio. Nell’uomo la complicanza più frequente riguarda il tumore del colon.
Le donne, soprattutto, bullizzate ed isolate dai compagni durante l’età scolare, vengono discriminate sul lavoro e nella vita sociale durante la vita da adulto e, quindi, si colpevolizzano anche trascurando le minime misure di prevenzione della propria salute e della protezione del proprio benessere fisico.
I disturbi alimentari (anorresia, bulimia, vigoressia – frequente anche nei maschi adulti – ortoressia e obesità) sono diventati una vera epidemia sociale; ne soffrono oltre tre milioni di persone in Italia, di cui oltre il 95 % sono donne. Il fenomeno, altresì, preoccupa ulteriormente quando si pensa che la classe di età si è allargata, interessando sempre più frequentemente le bambine in epoca preadolescenziale.
Oltre ad essere maggiormente a rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori, i soggetti in sovrappeso sono anche soggetti a maggior rischio di sviluppare disturbi ansioso- depressivi che li indirizza in una ‘morsa letale’ che li spinge a mangiare di più e muoversi di meno. Il giudizio discriminante, quindi, delle persone che li giudicano con noncuranza e villania sicuramente non li aiuta, ma ne ottiene un effetto di potenziamento della disistima ed autocommiserazione.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’obesità è l’epidemia non infettiva più diffusa del Terzo Millennio. Il sovrappeso interessa 2,3 miliardi di persone nel mondo e la condizione di obesità vera e propria coinvolge circa 650 milioni di persone. Allarmante è anche il dato per i bambini al di sotto degli undici anni con una crescita percentuale sempre maggiore, di anno in anno, di sovrappeso ed obesità.
Da quanto esposto sulle evidenze scientifiche elicitate ed acclarate nel corso degli anni, si evince che una valutazione complessiva, più autenticamente multi-specialistica della donna in eccesso ponderale, in ambito endocrino-metabolico, oncologico e ginecologico rivesta un pregevole e rilevante significato in termini di diagnostica clinica e terapia e, soprattutto, di prevenzione endocrina, metabolica, cardiovascolare ed oncologica rivolta alla salvaguardia e custodia del benessere totale della donna.