Da molti anni la presenza di una variante nei geni BRCA1 e BRCA2 consente di valutare il rischio di sviluppare una seconda neoplasia nelle pazienti oncologiche e di poter iniziare percorsi di prevenzione primaria e secondaria nelle donne ad alto rischio genetico nonché programmi di chirurgia profilattica per ridurre il rischio. Il riscontro di una variante in BRCA1/2 ha anche importanti risvolti terapeutici per le donne affette da carcinoma mammario: il test BRCA acquista, infatti, anche un significato predittivo di efficacia delle terapie antitumorali. Una volta rilevata la presenza di una variante familiare, il test genetico può essere esteso agli altri membri della famiglia che desiderino effettuarlo, a partire dai 18 anni di età. La probabilità di aver ereditato la variante è del 50% per ogni figlio di un individuo portatore della variante di BRCA, indipendentemente dal sesso del genitore portatore, dal sesso del figlio e dal suo ordine di nascita nella fratria. La stessa probabilità, salvo situazioni particolari, si applica anche ai fratelli/sorelle di un individuo portatore. Va ricordato, altresì, che la presenza di una variante di BRCA individua donne sane che sono ad alto rischio di sviluppare carcinoma mammario e ovarico oppure, nel caso di donne già con una diagnosi di carcinoma mammario, quelle donne ad alto rischio di sviluppare un altro tumore primitivo mammario od ovarico.
Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequente nel sesso femminile, in cui rappresenta circa un terzo di tutti i tumori: colpisce infatti una donna su otto. Anche se la maggior parte dei carcinomi mammari è rappresentata da forme sporadiche, il 5-7% risulta legata a fattori ereditari, dei quali un quarto determinati dalla mutazione di due geni, denominati BRCA1 e/o BRCA2. Nelle donne portatrici di mutazioni del gene BRCA1 il rischio di ammalarsi nel corso della vita di carcinoma mammario è pari al 65% e nelle donne con mutazioni del gene BRCA2 pari al 40%. Da qui l’importanza, soprattutto se si sono verificati casi in famiglia, di verificare la presenza di tali mutazioni. Nella popolazione generale, le mutazioni BRCA1/2 si verificano in circa 1 donna su 300-500 e rappresentano il 15% dei casi di cancro ovarico.
La valutazione del rischio
La valutazione del rischio genetico e il test di mutazione BRCA1/2 è un processo a più fasi che ha inizio con l’identificazione di donne con storie familiari o personali di cancro al seno, alle ovaie, alle tube o al peritoneo o in famiglie con membri con mutazioni BRCA1/2 già note. Queste mutazioni, si trasmettono con modalità dominante nella famiglia della madre o del padre (è sufficiente, cioè, un solo gene mutato per avere la malattia). Ecco perché quando i medici acquisiscono i dati anamnestici dovrebbero sempre chiedere informazioni sui tipi specifici di cancro, localizzazione del tumore primario, età alla diagnosi, quali membri della famiglia sono stati colpiti e la presenza di più tipi di cancro primario nello stesso individuo. Le donne a rischio di mutazioni BRCA1/2 devono essere valutate da professionisti adeguatamente formati sia per la consulenza genetica, sia per l’esecuzione del test genetico, sia per la consulenza post test dei risultati.
L’approccio clinico e terapeutico
In generale, l’assistenza alle donne con mutazioni BRCA1/2 consiste in vari di interventi per ridurre il rischio futuro di cancro, sottolineando lo screening intensivo, la farmaco-prevenzione e la mastectomia e la salpingo-ovariectomia bilaterale (asportazione rispettivamente di mammella e di tube ed ovaie bilateralmente). La mastectomia bilaterale è stata associata a una riduzione dell’incidenza del cancro al seno dal 90% al 100%. L’annessiectomia bilaterale (ovaio e tube) è stata associata a una riduzione della incidenza del cancro ovarico dall’81% al 100%.
Attualmente, tutte le Linee Guida consigliano il test di predisposizione genetica BRCA1/2 in tutte le donne con una diagnosi di carcinoma dell’ovaio. Le donne con tumore ovarico ed evidenza di varianti patogene BRCA1/2 nel tumore possono trarre beneficio dalla terapia con una particolare famiglia di chemioterapici, gli inibitori di PARPi (Poli ADP-Ribosio Polimerasi). La presa in carico delle donne con tumore ovarico e portatrici di mutazione BRCA deve prevedere un approccio bio-psicosociale che tenga conto anche dell’impatto della diagnosi e dei trattamenti sulla sfera fisica e psico-emotiva di ciascuna donna affetta da tumore ovarico, così come delle implicazioni psicologiche della problematica eredo-familiare e del coinvolgimento dei familiari sani, a rischio, nel percorso decisionale.
Il test BRCA a fini prognostici e predittivi di risposta alle terapie può essere prescritto dal genetista, dall’oncologo e dal ginecologo con competenze oncologiche, che informano adeguatamente la donna sugli aspetti genetici collegati ai risultati e la scelta di comunicare l’esito del test ad altri familiari. Le informazioni da dare alla donna dovranno riguardare i potenziali benefici in termini prognostici e terapeutici, insieme alla possibilità di rilevare per sé stessi l’eventuale condizione di alto rischio di sviluppare un altro tumore e per i propri familiari di accedere ad analisi in grado di accertare la presenza di una predisposizione all’insorgenza di tumori.