Il tumore ovarico è abbastanza raro, ma è anche la neoplasia ginecologica più letale: ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 5.200 nuovi casi con oltre 3.600 decessi. Di recente sono state pubblicate le linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica per la gestione delle pazienti con cancro ovarico.
Gli esperti hanno analizzato i più rilevanti studi clinici randomizzati riguardanti la chirurgia, la chemioterapia e gli agenti a bersaglio molecolare nella malattia precoce, avanzata e ricorrente. Nelle linee guida, anche quest’anno, viene riportato un messaggio che è presente ormai da qualche anno nella patologia ovarica: tutte le donne con tumore ovarico, tranne le pazienti con un’istologia mucinosa – che rappresenta il 2% dei tumori – e le pazienti con un tumore borderline, quindi non completamente maligno, devono effettuare il test del BRCA già al momento della diagnosi.
Questa è un’informazione importante per vari motivi: essa, infatti, ha una implicazione terapeutica, poiché ci sono dei farmaci i cui benefici sono maggiori nelle donne con la mutazione ed ha un valore prognostico, perché le pazienti mutate hanno una prognosi migliore e rispondono meglio, in generale, ad alcuni trattamenti. Altresì, il test ha un valore preventivo, sia per la paziente, perché le pazienti mutate presentano un maggiore rischio di sviluppare anche altri tumori, sia per le famiglie.
È naturale che, una volta individuata la mutazione, si può estendere l’indagine alle altre donne della famiglia ed attuare delle strategie di prevenzione del rischio. Questo al momento è l’unico modo per prevenire il tumore ovarico. Se la paziente non è malata, ma presenta solo la mutazione, vi è la possibilità di mettere a punto delle strategie di prevenzione. Possono essere delle strategie volte alla riduzione del rischio, come per esempio l’asportazione delle tube e delle ovaie, quando la donna in esame ha completato la vita fertile.
Quali sono i trattamenti disponibili?
Il trattamento principe è sempre rappresentato dalla chirurgia; è una chirurgia complessa con l’obiettivo preciso di asportare tutta la malattia visibile. Una volta operata la paziente riceve un trattamento chemioterapico, quasi sempre a base di platino, ed oggi sappiamo che è necessario un mantenimento successivo alla chemioterapia, poiché dopo la chemio il rischio di recidiva è molto alto (circa l’80%). Ma il paradigma terapeutico del trattamento del carcinoma era già cambiato qualche anno fa, quando una nuova classe di farmaci, i PARPi come terapie di prima linea, è entrata nell’algoritmo terapeutico. Prima i PARP inibitori erano disponibili come terapie di seconda linea, quale terapia di mantenimento dopo la recidiva; successivamente, sono arrivati i primi risultati dell’uso dei PARPi come terapia di mantenimento dopo la chemioterapia nelle pazienti di nuova diagnosi.
Questa classe di farmaci sta contribuendo in maniera davvero significativa a cambiare la storia della malattia riducendo significativamente le recidive per le pazienti portatrici della mutazione BRCA. Nelle nuove linee guida per la gestione del tumore ovarico è stato anche ribadito che esso non è un unico tumore, ma comprende cinque tumori diversi che potenzialmente andrebbero trattati con cinque differenti tipologie terapeutiche. Attualmente, si riesce a prevenire la recidiva solo nel 10% dei tumori al primo stadio; si sono, altresì, aggiunti altri indirizzi dedicati al trattamento dei tumori stromali e dei tumori germinali. Il veloce avanzamento degli studi in ambito oncologico-ginecologico ci invita a guardare avanti con sempre maggiore speranza, profilandosi una notevole crescita culturale nella prevenzione, diagnosi, terapia e follow-up di questa neoplasia, al fine di affrontare con fiducia le sfide del prossimo futuro.